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Le scale esterne nelle dimore tipiche

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Per la casa contadina si può parlare di dimora tipica per la ricorrenza delle stesse forme in una moltitudine di esemplari. Le ragioni di questa uniformità sono diverse: da un lato c’è la sua semplicità costruttiva che porta alla formazione della casa come accostamento di cellule elementari da cui, poi, deriva una forte rigidità dell’impianto in quanto le possibilità di variazione di tale accostamento sono limitate, dall’altro lato c’è la omogeneità a livello regionale dell’organizzazione agricola alla quale la dimora rurale è strettamente legata tanto da essere definita casa-utensile. Del resto, a proposito di questo secondo punto, si deve dire che un’agricoltura poco specializzata come la nostra non richiedeva una specializzazione e una conseguente differenziazione delle case. Non esiste neanche una specializzazione degli ambienti di servizio, i cosiddetti «annessi agricoli», come potrebbero essere il granaio, il fienile, ecc. ma si deve parlare piuttosto di una versatilità della casa contadina che non è solo abitazione, ma anche stalla, magazzino. La casa contadina adatta i suoi spazi, anche perché generalmente limitati, a una molteplicità di usi quali la conservazione del grano

nella camera da letto, l’essicazione dei salumi in cucina e così via. Questa plurifunzionalità degli spazi della casa non dipende solo dal ciclo delle lavorazioni agricole, ma pure dal particolare indirizzo culturale prevalente nella zona in cui è ubicata quella determinata casa: ciò, appunto, conferisce la caratteristica di adattabilità alla casa contadina. Dunque, se un’accezione della parola «tipico» è quella di ripetitiva per la casa contadina si può parlare di tipicità: anche quando c’è la possibilità di avere libertà nell’organizzazione dell’edificio come si verifica in campagna dove le costruzioni sono autonome, a differenza degli ambiti urbani in cui la disposizione della casa, la sua altezza, i suoi fronti sono condizionati dalla presenza di altre costruzioni, la forma della casa è sempre la stessa ed essa è dettata dalle esigenze tecniche e funzionali di cui si è parlato sopra. A tale esigenze la casa rurale sembra aver fornito la soluzione più confacente, ma ciò non ci deve far dimenticare che si tratta di esigenze storicamente determinate e, pertanto, anche la nostra casa rurale è storicamente determinata e non immutabile nei secoli. Fatta quest’ultima dovuta precisazione, si può ritornare al concetto di tipico. Esso va esteso, ovviamente, ai vari elementi che compongono la casa; tra questi il più riconoscibile è la scala esterna. Se è vero, come si è detto all’inizio, che la casa tradizionale è formata da un’aggregazione di cellule, la scala esterna è la soluzione più appropriata al problema di collegare cellule collegate a piani differenti. Infatti la scala esterna essendo un vano autonomo rispetto alle cellule ne rispetta la integrità,

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contrariamente a quanto fa la scala interna che invece sottrae spazio (a volte mediante una tramezzatura) a qualche cellula, essendo ricavata all’interno di esse. La scala esterna non è un rimedio alla carenza di spazio nella casa contadina che spinga a porre la scala al di fuori dell’edificio, ma piuttosto è un arricchimento di questa casa, fornendola di un vano di disimpegno, anzi dell’unico vano di disimpegno della casa contadina che è priva di tali spazi accessori. Che la scala esterna non sia un semplice spostamento al di fuori della casa della scala è dimostrato dal fatto che essa differisce dalla scala posta all’interno anche per la sua larghezza, facendola assimilare a una gradinata urbana e, per questo aspetto, si può addirittura parlare di un prolungamento dell’abitazione nello spazio circostante venendo la scala esterna ad essere a metà tra una componente della casa e una componente dell’area in cui la casa è inserita, sia essa urbana che rurale. Occorre puntualizzare che, ovviamente, la tipologia della casa contadina non è nata bella e fatta, così come Minerva dalla testa di Giove, ma che essa è il frutto di una evoluzione nel tempo che avrà portato dalla cellula uninucleare per successivi raddoppi anche in verticale alla forma consolidata in cui si presenta oggi e quindi alla giustapposizione della scala alle cellule: tale processo ad un certo punto si deve essere cristallizzato consegnandoci l’immagine attuale della casa rurale. Di questa la scala esterna costituisce l’elemento più riconoscibile. Pur se la casistica delle scale esterne è notevole, avendosi variazioni di aspetto nelle diverse zone del Molise in dipendenza delle differenti tradizioni costruttive, essa rappresenta il fatto architettonico fondante della casa rurale per la sua rispondenza alle esigenze descritte prima. La principale caratteristica della scala esterna è quella di essere con il suo ballatoio di smonto un vano a sé stante, l’unico elemento eterogeneo nella composizione della casa tradizionale, basata sulla sommatoria di cellule. In genere il pianerottolo di smonto ha la copertura, la quale si distingue dalla copertura del resto della casa perché essa serve a coprire solo questo vano, il ballatoio e un vano sottostante che normalmente non c’è; la copertura, o meglio il suo introdosso, è visibile dal ballatoio le cui pareti che presentano ampie bucature non finestrate servono innanzitutto per sorreggere tale copertura e anche per questo aspetto la scala esterna si distingue dal resto delle cellule della casa. Il pianerottolo può essere spesso assimilato ad una loggia presentando bucature a forma di arco con accenni di capitelli, ottenuti con il ringrosso delle pareti nel punto di imposto di tali archi: si vuole quasi attribuire un valore estetico alle scale esterne, concentrando l’impegno decorativo in questi punti che, così, spiccano nell’immagine della casa per il contrasto che si determina con i volumi elementari e con le semplici pareti dell’edificio.

Abbiamo addirittura che la scala esterna viene a sovrastare la facciata della casa che in tal modo viene ad essere annullata. Una giustificazione di ciò va cercata nel fatto che nel territorio rurale non necessita una vera e propria facciata perché la casa rurale prospetta su spazi di servizio quali il cortile o l’aia e non su spazi pubblici. Al di là di questa considerazione è significativo, comunque, il disinteresse che si nota nell’architettura tradizionale per la facciata simmetrica, il rifiuto di uno stretto rigore geometrico. Dalla simmetria discende la staticità e pertanto la casa rurale non presentando simmetrie non ha una immagine compiuta, fissata una volta per tutte: al volume del fabbricato si affianca la scala esterna, ma anche il pollaio, la concimaia e così via. Proprio questa continua aggregazione di corpi, la possibilità di ampliamenti e mutazioni sembra essere il connotato saliente della tradizione costruttiva contadina che si contrappone alla cultura architettonica colta che invece persegue l’armonia delle forme. Bruno Zevi a questo proposito afferma: «Siamo di fronte a linguaggi di “grado zero”, privi di grammatica e di sintassi, dettati da eventi essenziali basici, dalla natura e dal lavoro». Parole di significato immediato, poste una accanto all’altra e una di queste è proprio la scala esterna. Quest’ultima è uno dei «fenomeni» ricorrenti nel linguaggio architettonico tradizionale della nostra regione: Mario Cataudella nella sua ricerca sulla Dimora Rurale nel Molise condotta nel 1964 per conto del C.N.R. constata che la scala esterna è ptresente tanto in zone collinari che in zone di montagna dove pure il clima esigerebbe una maggior chiusura delle case. La scala esterna costituisce perciò un segno paesaggistico di rilievo capace di caratterizzare quadri panoramici pur diversi fra loro ed, anzi, la sua diffusione uniforme si contrappone alla estrema varietà dei paesaggi molisani. Essa compare anche in alcuni centri urbani, non solo in campagna, ma ciò non smentisce la considerazione che la scala esterna ha uno spiccato carattere antiurbano perché i centri nei quali è presente hanno sempre una connotazione rurale; esplicitando si nota che essa non si trova mai nei nuclei storici di Campobasso, Isernia o Boiano, ma piuttosto a S. Massimo, Cantalupo, ecc. In questi ultimi centri è l’architettura contadina ad influenzare le costruzioni urbane, ribaltando la tendenza generale che vuole che sia la «città» ad influenzare la «campagna». Rimane valida, però, anche in questi casi la riflessione che le costruzioni rurali hanno una immobilità superiore a quella delle costruzioni urbane le quali evolvono continuamente.

Ciò lo si nota con evidenza se si osservano le modalità di aggregazione delle abitazioni: mentre negli ambiti urbani quando si fondono più proprietà edilizie si ha la costruzione del “palazzo” che unifica i vari corpi di fabbrica, in campagna, dove l’aggregazione corrisponde alla crescita di un nucleo originario per lo sviluppo della famiglia patriarcale, si ha la semplice giustapposizione delle case che quindi possono essere intese come un insieme di case isolate sia pure accostate fra loro. Pure in queste aggregazioni quindi continua a comparire la scala esterna che, pertanto, non è un elemento specifico delle case isolate. In conclusione, riassumendo quanto esposto sopra si può affermare che la casa contadina costituisce una tipologia di casa definita e le numerose varianti di case che esistono hanno una matrice tipologica unica. Anzi, la mutevolezza delle forme di queste case tutte però riconducibili al modello della casa come aggregazione di cellule non fa che confermare la presenza di una tipologia comune. La scala esterna è un elemento peculiare di tale tipologia, integrato com’è allo schema della casa quale somma di cellule sia in verticale che in orizzontale. Le regole compositive della casa contadina sono diversificate e prevedono la disposizione della scala esterna o sul lato lungo del fabbricato o su quello corto, la copertura o meno del pianerottolo di smonto, ecc..

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