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UN PALAZZO SIGNORILE A VASTOGIRARDI

La facciata è il principale elemento di qualificazione formale di questo palazzo. È fin dal Rinascimento, epoca in cui è nata l’idea di palazzo, che si affida al disegno della parete la definizione architettonica del fabbricato. Nel Rinascimento viene assegnata alla facciata una nuova importanza anche perché al palazzo viene data una particolare collocazione nel tessuto edilizio. Il fronte del palazzo è estremamente curato in quanto l’edificio è preoccupato del suo ruolo urbano.

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La facciata del palazzo Selvaggi presenta, seguendo il gusto classicistico, una disarticolazione in fasce orizzontali e verticali con il piano superiore con balconi, un piano finestrato e quello inferiore con semplici bucature; le aperture sono allineate fra loro. Al di sotto delle finestre vi sono delle feritoie che servivano a garantire la difesa della casa. Un altro carattere di questa facciata è la simmetria speculare rispetto ad un ideale asse centrale che è dato dal portone. Inoltre emerge con forza la finitezza del fronte che è un carattere imposto dalle regole architettoniche. Si riscontra, infatti, in facciata la serie chiusa delle finestre in cui c’è insieme alla ripetizione, pure la chiusura sottolineata dai cantonali in pietra. Vale la pena sottolineare che l’idea di ripetizione che qui avviene secondo un ritmo costante è strettamente legata all’adozione di modanature nelle cornici delle finestre dettate dagli ordini architettonici ai quali è connaturato il concetto di ripetizione. La chiusura non è solo in senso orizzontale ma anche verticale perché in alto la facciata è delimitata da un cornicione lapideo molto sporgente in modo da favorire l’allontanamento delle acque meteoriche. Se questa facciata denuncia un gusto classicista, in linea con i revival ottocenteschi, si avverte, però, una contaminazione da altri stili architettonici nella mancanza di un rigoroso ossequio al principio della proporzione. Infatti il portale sembra fuori scala rispetto alle altre componenti del prospetto; con le sue imponenti dimensioni esso non è rapportabile al resto degli elementi stilistici presenti in facciata.

Sul portale si è concentrata l’intenzionalità artistica, così come avviene sulle porte delle abitazioni comuni, a testimoniare il legame che, seppure nascosto, c’è tra l’architettura colta e quella popolare. Il complesso del portale si caratterizza per la presenza di due colonne a tutto tondo con capitelli classici sui quali poggia un secondo ordine di colonne che individuano un’apertura con cornice in pietra finemente lavorata. All’inizio si è detto che la parte maggiormente curata, dal punto di vista architettonico, dell’edificio è la facciata; va aggiunto che questo palazzo ha diverse pareti esterne tra le quali la più rifinita è quella dove sta l’accesso principale. Tutti i prospetti costituiscono superfici piane, ma non lisce perché corrugate dalle cornici delle finestre che sono simili a quelle del fronte d’ingresso. Tra i prospetti il più imponente non è quello principale, ma sicuramente quello contrapposto a questo, cioè quello posteriore e ciò è dovuto non solo alla maggiore altezza (perché essendo in pendio emerge il piano seminterrato), ma al fatto che lo si vede da una via stretta, e non da una piazza come il primo, il che ce lo fa apparire più maestoso. Quando si è parlato del fronte principale non si è menzionato il fatto che esso risvolta su un altro lato della piazza; il motivo è che per spiegare la presenza di quest’ala occorre fare cenno al processo di aggregazione che ha portato a questa configurazione dell’edificio.

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A differenza degli altri isolati urbani di Vastogirardi dove le case si sono unite insieme senza seguire alcun piano, in maniera spontanea, in questo caso si legge una precisa forma del complesso architettonico che lo distingue nettamente dal resto dell’edificato pure se, di certo, non vi è stato nessun progetto iniziale. La prima versione della casa deve essere precedente al 1744 quando in un atto notarile già compare la casa di “largo Piazza” di proprietà degli Scocchera, gli originari possessori di questo palazzo. Nel 1785, sempre nell’archivio di questa famiglia, vi è una descrizione dettagliata dell’immobile: «Una casa palazziata di membri 4, cioè 2 superiori e 2 inferiori, sita dentro questa Terra nel luogo detto Piazza»; sempre nel medesimo documento si passa poi ad una elencazione accurata dei vari ambienti: “Sala cucina, stanza laterale alla cucina, anticamera, dietro stanza, quarto sopra la sala, stanza dei forastieri, stanza dell’Arciprete, altra stanza de’ forastieri, stanza del forno, fondaco, fondaco vicino la dispensa, dispensa, cantina, stalla”. Il resoconto, lo si nota per inciso, non è evidentemente completo mancando perlomeno le stanze dei padroni di casa. L’ala laterale comincia a essere menzionata nel 1814 con la vendita da parte di un tal Cenci ai fratelli Scocchera della casa adiacente al palazzo e alla Taverna del Duca che, quindi, doveva trovarsi nel sito dove avviene

l’espansione laterale del palazzo. Infine nel 1839 gli Scocchera ottengono da un confinante, sempre da questo lato, la concessione del diritto a costruire un arco che è, poi, quello che affianca immediatamente il fronte principale. La fabbricazione del palazzo può dirsi terminata nella prima metà del XIX secolo con le successive trasformazioni e ingrandimenti. Il risultato finale di queste mutazioni è quello di un palazzo ad L, con i due lati che costeggiano e delimitano la piazza, piazza Umberto. Che questa sia una piazza è indubbio e ciò non solo per la toponomastica che da epoca antica così denomina questo luogo. Si vede che è una piazza dal fatto che è uno spazio pianeggiante abbastanza largo, cosa che è inconsueta in agglomerati abitativi posti in pendio come è Vastogirardi. Ancora di più, è piazza perché qui c’è un nodo urbano, trovandosi all’intersezione tra due percorsi, l’uno che sale al castello e l’altro che conduce alla Confraternita. Seppure è un incrocio di strade, comunque, lo slargo sta lungo un’unica strada; esso risulta appartato, tangente a questo percorso e ciò porta ad identificarlo quasi quale corte esterna al palazzo Selvaggi. Al contrario, come abbiamo visto ripercorrendo le fasi evolutive del palazzo, è quest’ultimo ad adattarsi alla piazza con la realizzazione del corpo aggiuntosi successivamente di fianco. In ogni caso, va sottolineato lo stretto legame che c’è tra palazzo e slargo, ognuno dei due aumentando di prestigio per la presenza dell’altro. Il condizionamento reciproco tra fabbriche e tracciato viario come in questo caso, lo si sottolinea per inciso, lo si ha nei centri urbani dove vi sono più rigide geometrie, mentre nel territorio rurale vi è maggior libertà di impianto (si veda la singolarità della masseria fortificata in località Staffoli, appartenente alla medesima famiglia e costruita pressappoco nello stesso periodo, che è tipologicamente differente dalle altre dimore signorili in campagna). Finora si è analizzato il rapporto dell’edificio con il contesto urbano nel quale è inserito, anzi piuttosto che di un singolo edificio si è visto che qui si può parlare di una vera e propria “parte urbana” in quanto il palazzo va strettamente legato alla piazza adiacente. Questa lettura va integrata con quella che parte dallo studiare l’edificio   in relazione all’isolato urbano al quale appartiene. L’isolato, che è un pezzo di tessuto urbanistico delimitato da 4 strade, è, per certi versi, il minimo comune multiplo di un insediamento. Nel caso in questione possiamo considerare l’isolato coincidente con un unico edificio, appunto il palazzo Selvaggi, o pensare quest’ultimo parte di un isolato più grande, comprendente anche le case affiancate ad esso. Si tratterebbe di un isolato “a schiera” formato da abitazioni di diverso tipo il quale è certamente ipotizzabile poiché non vi è una relazione fissa tra tipologia degli isolati e tipologia edilizia.

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Un’altra ipotesi che è possibile formulare, tenendo conto che gli isolati ai margini di un abitato (la collocazione del palazzo Selvaggi è proprio questa perché è posto al limite della zona più antica di Vastogirardi) non si formano neppure, è che qui l’isolato quasi scompare e prevale unicamente la strada. In altri termini si vuole dire che modulo della genesi di questa parte dell’aggregato è il percorso edificato e non l’isolato. Per percorso edificato qui va inteso proprio la strada, via Roma, che si allarga a formare la piazzetta antistante il palazzo, la quale è l’elemento primario della organizzazione urbanistica mentre costituisce elemento secondario il percorso laterale, la traversa di via Roma, che passa sul retro del palazzo lungo il quale non vi sono facciate significative né accessi, se non una piccola porta posta in un corpo minore del palazzo. Comunque, se non si può parlare di isolato si può parlare di lotto che comprende il palazzo, il giardino e la scuderia. A confermare il fatto che il palazzo doveva trovarsi originariamente in un ambito periferico dell’insediamento è l’esistenza del giardino annesso all’edificio. Nelle aree con maggiore densità edilizia, come sono i centri storici consolidati, mancano i giardini per la necessità di economizzare il suolo racchiuso nelle mura, le quali poiché costose dovevano avere un perimetro limitato. I giardini, invece, stanno nella fascia suburbana. Un palazzo, come il palazzo Selvaggi, che si richiama allo stile dei palazzi rinascimentali deve essere dotato di un giardino, un ornamento necessario, seppur di dimensioni limitate.

 Un’altra appendice al palazzo Selvaggi è il fabbricato della scuderia che forma un tutt’uno con il palazzo dal quale è separato da una stretta asola. Un po’ come nelle case contadine in cui abitazione e rustico sono separati, così qui la dimora è distinta dai servizi. In effetti, il palazzo non presenta cellule direttamente accessibili dalla piazza e, perciò, locali che abbiano ingressi separati da quelli dell’abitazione. L’esigenza di isolare i vani destinati ad usi, come il ricovero degli animali e delle derrate agricole, non agevolmente associabili alle attività domestiche giustifica la costruzione di un volume autonomo specificamente destinato a questo scopo. La scuderia non è rapportabile, evidentemente, alle tipologie edilizie delle abitazioni, le quali sono in prevalenza standardizzate. La scuderia, invece, ha una tipologia necessariamente singolare; si trovano, con difficoltà, strutture simili che possano servire da esempio. Se si tiene conto che più l’edificio è specialistico meno sono stati gli edifici costruiti corrispondenti a quella particolare specializzazione e che la funzione scuderia è limitata solo alle dimore delle famiglie ricche le quali, è ovvio, erano poche, si può comprendere l’originalità di questo edificio. Si può parlare, in definitiva, di una sorta di “personalizzazione” del prodotto che si presenta come un’ampia sala voltata sovrapposta a un piano cantinato.

Passando all’esame dell’interno del palazzo Selvaggi e cominciando dall’ingresso emerge il fatto architettonico più significativo di questo edificio che è la scala. È dedicato un ampio spazio all’androne, cosa inconsueta perlomeno nelle case comuni dove le superfici dell’atrio sono ridotte, collocando la scala sul retro. Vi è la successione spaziale atrio – scala - ballatoio di smonto. L’elemento maggiormente interessante è costituito dal collegamento verticale. Si tratta di una grande scalinata, tutta in pietra lavorata, con colonne e cornici modanate, i cui gradini lavorati con fregi a rilievo sono ognuno diverso dall’altro. Per il resto dell’interno si rimanda alla descrizione contenuta nel volume «Dimore storiche molisane» pubblicato per le edizioni ERI da Nicoletta Pietravalle che ha dedicato un intero capitolo a questo palazzo. Di seguito si riportano le notizie essenziali riguardanti le successioni proprietarie del palazzo. Già nella prima metà del ‘700 don Domenico Scocchera possedeva una numerosa industria di pecore ed altre specie di animali, oltre beni stabili ed esercitava pubblica mercatura presso la piazza di Foggia.

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La suddetta attività venne continuata da don Ottavio Scocchera, figlio di Domenico, al quale, secondo tradizione orale di famiglia, è dovuta la costruzione della casa palaziata di Piazza Umberto (una volta La Piazza) di Vastogirardi. Con due successivi atti di divisione (il primo del 1831 ed il secondo del 1850) la proprietà lasciata in eredità da don Pasquale Scocchera (deceduto il 28.2.1808) venne assegnata per i beni riguardanti il Molise, e quindi anche la casa palaziata di Vastogirardi, a don Liborio Scocchera, e per quelli ubicati in Puglia e Basilicata a don Ferdinando Scocchera. Dal matrimonio di don Liborio Scocchera e donna Giacinta Sabelli nacque l’unica figlia Pasqualina, la quale, alla morte del padre avvenuta nel 1866, ne ereditò il patrimonio. Donna Pasqualina Scocchera andò sposa in prime nozze al barone Liborio Angeloni di Roccaraso. Divenne poi moglie di don Domenico Marracino di Vastogirardi. I coniugi Marracino-Scocchera istituirono erede la nipote Giacinta Marracino andata sposa all’avv. Francesco Selvaggi (Vice Avvocato Generale dello Stato, Prefetto di Napoli, Senatore della Repubblica) i cui discendenti posseggono ora la casa palaziata di Vastogirardi.

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